Tessere di tessuto tagliate e poi cucite insieme a formare un nuovo e più grande disegno: in poche e semplici parole, questo è il patchwork. Un’antica arte tessile che del riuso intelligente degli scarti ha fatto la sua fortuna, ridando vita a ciò che era troppo logoro per essere ancora mostrato, ma non abbastanza per essere buttato via. Una tecnica utilizzata sovente, ma non solo, per realizzare delle trapunte, detta quilts in inglese, dove il patchwork diventa elemento decorativo, ovvero la ‘parte superiore’ dei tre strati che compongono un quilt. Mentre lo strato intermedio è l’imbottitura e lo strato inferiore è il vero e proprio supporto.
Il patchwork e la trapuntatura (quilting), non sono sinonimi, ma due tecniche molto distinte utilizzate in moltissime culture per realizzare una gamma assai vasta di manufatti. Due esempi a noi vicini, possono farci comprendere la differenza. La Coperta di Usella o Guicciardini è un pregevole esempio di lavoro a trapunto. Realizzata in Sicilia sulla fine del XIV secolo, ha come soggetto il poema cavalleresco di ‘Tristano e Isotta’. Attualmente è conservata a Firenze al Museo Nazionale del Bargello, ma a Londra, nella collezione del rinomato Victoria and Albert Museum, ne esiste un’altra simile, molto probabilmente le due trapunte provenivano dallo stesso corredo nuziale.
La figura di Arlecchino ci ricorda, invece, come si possa ridare vita a un abito consunto dal tempo e dalla povertà. Lo sgargiante costume a losanghe colorate che la maschera della commedia dell’arte indossa, è senza dubbio il risultato di un abile lavoro di patchwork. Nel Biellese queste due pratiche tessili si sono diffuse a partire dagli anni ottanta quando, come in altre parti d’Italia, anche qui alcune mercerie del luogo hanno divulgato queste tecniche, organizzando corsi e momenti di incontro, oltre a mettere a disposizione i materiali per realizzare i manufatti.
Per molti anni la pratica del patchwork nel nostro territorio si è svolta in una dimensione privata e circoscritta entro le mura domestiche. Fino a quando, nel 2009, alcune cultrici di quest’arte, tra le quali Lia Colonnetti, hanno deciso di dare vita a un’associazione denominata “Trame” Biellesi, riunendo intorno ai tavoli da lavoro e alle macchine da cucire donne di tutte le età, in uno spirito di collaborazione e scambio che le ha portate, in poco tempo, a ritagliarsi uno spazio di visibilità nel panorama nazionale del quilting.
“Il patchwork non è solo un passatempo, ma un’arte che richiede maestria e saper fare – racconta Nicoletta Galeno, presidente e fondatrice dell’associazione – Da sempre considerato, almeno in Italia, come una pratica artigianale minore, in realtà, ha dei risvolti e degli utilizzi che possono interessare ambiti diversi, che vanno dalla moda al design. Anche l’arte contemporanea sembra aver riscoperto la bellezza del tessuto. In questi ultimi anni molti artisti si sono avvicinati al nostro lavoro, dando così vita a importanti momenti di scambio e di confronto. Il nostro desiderio è di insegnare a più persone possibili quello che sappiamo fare, perché possa diventare anche, perché no, un lavoro”.
Il patchwork adottato in primis dalla cultura hippy è riuscito poi a ritagliarsi uno spazio nell’industria della moda, divenendo presto un inno di upcycling e di sostenibilità. Sempre più persone, anche uomini, si stanno avvicinando a questa forma di artigianato. In Europa esistono fiere e manifestazioni internazionali di settore, in grado di muovere migliaia di persone in pochi giorni, generando così un notevole indotto economico per le città che le ospitano.
“Per i nostri manufatti utilizziamo spesso tessuti di recupero o di scarto provenienti dalle industrie Biellesi come la lana, il cashmere e la seta per cravatte – dichiara Lina Veronesi, vicepresidente delle “Trame” Biellesi” – Questa è una peculiarità che contraddistingue la nostra cifra stilistica. Mentre le quilter di tutto il mondo acquistano tessuti in cotone americano o giapponese, creati appositamente per il patchwork, noi utilizziamo quelli prodotti qui. Abbiamo la fortuna di essere nate in un prestigioso distretto industriale tessile, premiato anche dall’Unesco come Città Creativa e, con il nostro lavoro, cerchiamo di rendergli l’onore che si merita”.
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