_Sandro Delmastro delle Vedove
Sulla base della presunta minaccia della Russia a tutto il mondo occidentale, i paesi membri della Nato hanno annunciato sostanziali aumenti delle spese militari. L’esempio più spettacolare è la spesa extra per la difesa in Germania, che ammonterà quest’anno al doppio del bilancio annuale, un aumento di 100 miliardi di euro, mentre il governo italiano prevede di aumentare del 50% (12 miliardi di euro) le spese militari quest’anno. Complessivamente, si stima che gli alleati europei dell’America potrebbero spendere più di 300 miliardi di euro. Si tratta di una quantità di denaro impressionante. La domanda è: quale sarà l’effettivo beneficio e quando si concretizzerebbe? In particolare, in Germania, c’è un enorme arretrato nella manutenzione dell’hardware militare, che è stato pesantemente saccheggiato per evitare investimenti.
I nuovi armamenti esistono solo nei computer degli ingegneri, mentre il loro sviluppo e collaudo richiederà anni. Quindi, contrariamente a quanto sostengono gli annunci ufficiali, è improbabile che le capacità di difesa dell’Ue migliorino molto prima della fine di questo decennio. Se avranno bisogno subito di un po’ di hardware militare, questi paesi dovranno acquistarlo dagli Stati Uniti. E infatti, per cominciare, quindici miliardi del bilancio tedesco extra finiranno negli Usa per acquistare gli F-35. Si può supporre che anche una buona parte delle nuove spese in altri paesi europei andrà a beneficio del famigerato complesso militare-industriale-finanziario negli Stati Uniti. Quelle somme alimenteranno la gigantesca bolla degli investimenti non produttivi, accanto al previsto “spostamento di migliaia di miliardi” di dollari nel Green Deal. Questo vale in particolare per l’Ue, che è sotto pressione perché includa le spese militari nella tassonomia degli investimenti “sostenibili”. Già Bloomberg News anticipava il 13 marzo che “la guerra della Russia contro l’Ucraina ha dato vita ad un’idea, una volta impensabile, di come l’industria della difesa – a lungo stigmatizzata dagli investitori sostenibili – venga riproposta da alcuni come uno strumento per preservare la democrazia.
Seb, una delle più grandi banche svedesi e un pioniere nel campo delle obbligazioni verdi, ha recentemente dichiarato che sta aggiornando la propria politica di investimenti sostenibili per fare spazio alle armi. E Commerzbank ha dichiarato che le sue porte sono spalancate ai produttori di armi della Germania, molti dei quali hanno detto che all’inizio di quest’anno dovevano ancora lottare per ottenere finanziamenti”. L’articolo di Bloomberg sottolinea inoltre che i lobbisti dell’industria della difesa stanno spingendo i politici dell’UE a includere le armi in una cosiddetta tassonomia sociale, e “da alcuni segnali sembra che alcuni decisori dell’UE diano loro ascolto”.
Allo stesso tempo, alle popolazioni europee viene detto di aspettarsi profondi tagli nei livelli di vita, con il cinico pretesto di “vivere con meno per proteggere la libertà e la democrazia”. Un editoriale in prima pagina del Frankfurter Allgemeine Zeitung del 16 marzo è indicativo della campagna mediatica: sotto il titolo “L’ora della verità”, la redazione scrive che i 100 miliardi di euro in più per le spese di difesa non devono essere finanziati in deficit, ma calando la scure sulle spese sociali “eccessive”. E la brutta parola “razionamento” torna a farsi sentire in Europa. L’ex presidente della Bce e presidente del consiglio italiano Mario Draghi ha dichiarato senza mezzi termini il 18 marzo che “se le cose peggioreranno, dovremo entrare in una logica di razionamento”.
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