_Sandro Delmastro delle Vedove
La sera del 21 febbraio il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato di aver iniziato il processo di riconoscimento delle autoproclamatesi repubbliche del Donbass, dopo aver concluso che Kiev non aveva mostrato la minima intenzione di concedere l’autonomia come previsto dagli accordi di Minsk. Infatti, mentre il presidente ucraino Zelensky rassicurava Putin, tramite il cancelliere tedesco Scholz, di stare approntando la legge per l’autonomia, le sue forze armate sferravano una sanguinosa offensiva contro il Donbass costringendo le autorità locali ad evacuare la popolazione civile. Mentre i media e i politici occidentali gridano alla “violazione del diritto internazionale” e annunciano sanzioni, l’ex candidato alla Presidenza francese Jacques Cheminade ha twittato: “Riconoscendo l’indipendenza di Donetsk e Luhansk e ordinando alle forze armate russe di muoversi per assicurare il ‘peacekeeping’, Putin ha attraversato una linea rossa. Ma i provocatori sono gli Usa e la Nato, che non hanno imposto l’applicazione degli accordi di Minsk”.
Con le repubbliche del Donbass ora riconosciute da Mosca, Washington e la Nato devono scegliere se aumentare la tensione con le sanzioni o accettare di negoziare seriamente con la Russia un sistema di sicurezza globale. Questo dovrebbe includere la garanzia che l’Ucraina non entrerà nella Nato e che i dispositivi militari che minacciano la sicurezza della Russia saranno ritirati dalle nazioni che una volta facevano parte del Patto di Varsavia. Quale percorso sceglierà l’Occidente, quello dei negoziati o quello di una crisi dei missili di Cuba al contrario? Le sanzioni annunciate all’indomani del 21 febbraio non dissuaderanno Mosca. Infatti, Putin nel suo discorso alla nazione ha ripetuto che l’Occidente avrebbe comunque emesso sanzioni, qualunque cosa avesse deciso di fare la Russia. Come ha osservato l’analista russo Andrey Kortunov in una recente intervista, ci sono due fattori determinanti nelle considerazioni strategiche russe: la sicurezza e l’economia.
Putin ha deciso che la sicurezza è prioritaria. Anche il ruolo della Cina va considerato nell’equazione. Durante il recente vertice a Pechino, Putin e Xi Jinping hanno sicuramente discusso le varie implicazioni della crisi strategica e valutato le mosse future. Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, la scorsa settimana, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha fatto capire chiaramente che la Cina è al fianco del partner russo nello scontro con la Nato. Perciò, nello scenario di sanzioni economiche incisive, Mosca può fare affidamento sul partner cinese per mitigarne l’impatto. È piuttosto l’Europa il principale perdente se, come conseguenza delle sanzioni, ne soffrirà l’interscambio con la Russia. Il governo italiano ha dichiarato preventivamente di essere contrario a sanzioni nel settore dell’energia e non è il solo: anche la Germania è vulnerabile ad un’interruzione delle forniture di gas.
Prevarrà la ragione ed eviteremo uno scontro armato tra potenze nucleari? I segnali mandati dalla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco sono stati negativi, dato che i partecipanti si sono scagliati contro il partenariato Cina-Russia e Ursula von der Leyen ha addirittura rigirato la frittata, accusando Mosca e Pechino di rifiutare la cooperazione e preferire la legge del più forte. È vero, il partenariato Russia-Cina è una minaccia per il sistema globale che ci ha portato cambiamenti di regime, iperinflazione e crescente divario sociale. Insistere per tenere in piedi tale sistema, destinato al crollo, è la dinamica che porta a tensioni e alla guerra, come è stato spiegato al webinar dello Schiller Institute del 19 febbraio (vedi sotto). I negoziati per una nuova architettura economica e di sicurezza globale basata sui principii del Trattato di Westfalia sono più urgenti che mai.
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