_Sandro Delmastro delle Vedove
Ha certamente a che fare con l’evolversi della crisi strategica internazionale la decisione di Pechino di assumere un più alto profilo nella diplomazia internazionale. Tra il 10 ed il 14 gennaio, il consigliere di Stato cinese e ministro degli Esteri Wang Yi ha incontrato i colleghi di Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Oman, così come con il segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Gli incontri si sono tenuti, separatamente, a Wuxi, nella provincia di Jiangsu, e sono stati seguiti da altri due incontri con i ministri degli Esteri di Turchia e Iran. Nell’esaminare i risultati con i media il 15 gennaio, Wang ha detto di aver trovato una grande unità sul concetto che nessuna singola forma di “democrazia” o modello economico dovrebbe essere imposta agli altri, in un ovvio riferimento alla politica anglo-americana.
In particolare, nei colloqui con i ministri sauditi e iraniani è stato sottolineato che Pechino – che gode di buoni rapporti sia con i paesi del Golfo che con Teheran – svolgerà un ruolo più attivo nella promozione dei colloqui di pace nella regione. Inoltre, all’ordine del giorno di tutti gli incontri erano l’aumento del commercio e degli investimenti, dato che la Cina è già diventata il principale partner commerciale e investitore straniero nell’Asia sud-occidentale. Questo argomento è stato ripreso da Chas Freeman, ex diplomatico statunitense di lungo corso (fu interprete per Nixon nella storica visita in Cina e ambasciatore in Arabia Saudita), in un articolo pubblicato il 22 gennaio sul sito web del Quincy Institute Responsible Statecraft. Egli sottolinea che i paesi del Medio Oriente desiderano “più, non meno impegno cinese” per difendere i propri interessi e ciò indipendentemente dal crescente conflitto USA-Cina.
Le ragioni sono ovvie: “La Cina è ora così grande economicamente che non può fare a meno di essere un fattore di importanza crescente nel panorama regionale. Tra il 2000 e il 2020, il PIL cinese è quintuplicato. La sua economia industriale è ora due volte più grande di quella americana, anche quella dei servizi USA rimane molto più piccola. La Cina è diventata il più grande mercato di consumo del mondo e il più grande importatore di idrocarburi”. Un terzo delle sue importazioni di energia, come spiega Freeman, provengono dai paesi del Golfo (GCC), principalmente dall’Arabia Saudita. “Le compagnie cinesi comprano un sesto delle esportazioni di petrolio del GCC, un quinto di quelle dell’Iran e metà di quelle dell’Iraq”.
Inoltre, Pechino è una “superpotenza tecnologica emergente” in molti campi.In che modo la politica della Cina verso il Medio Oriente contrasta con quella degli Stati Uniti? Freeman risponde: “Come l’America un secolo fa, la Cina non ha un’apparente agenda imperiale o ideologica in Medio Oriente. A differenza degli Stati Uniti di oggi, Pechino non chiede ai Paesi della regione di cambiare i sistemi politici e i valori, non li punisce se non lo fanno, né chiede rapporti esclusivi con loro. Non ha ancora manifestato opposizione al continuo coinvolgimento americano nella regione. Al contrario, ha suggerito la formazione di un dialogo multilaterale sulle questioni di sicurezza e, quando i tempi saranno maturi, un meccanismo di sicurezza collettiva gestito a livello regionale per il Golfo. Se Washington si atterrà alla politica attuale invece di optare per la cooperazione con la Cina, conclude Freeman, non potrà prevalere.
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