_Sandro Delmastro delle Vedove
_Claudia Pieri
L’Unione Europea e il Regno Unito hanno alla fine raggiunto un accordo post-Brexit in zona Cesarini, una settimana prima che finisse il periodo di transizione. Molti sospettano che il caos creato dal cordone sanitario istituito dall’UE in reazione alle notizie sulla nuova mutazione “inglese” del Coronavirus fosse calcolato per mettere pressione su Londra. Un giudizio completo sull’accordo sarà possibile solo dopo aver letto ed esaminato le oltre mille pagine del testo. Ma da quanto è dato sapere, l’UE ha indubbiamente spuntato delle concessioni, benché il Regno Unito sia ora libero di prendere decisioni sovrane indipendenti in diverse aree.
Una di queste è il commercio con i partner al di fuori dell’UE. Trascurato dai media, questo aspetto è molto importante. Vuol dire che da oggi, benché il Regno Unito rimanga di fatto membro del mercato unico europeo e continui a godere di scambi commerciali senza dazi, Londra può concludere accordi bilaterali con tutte le altre nazioni del mondo, senza dover indossare la casacca a “taglia unica” del regime tariffario UE che favorisce alcuni membri svantaggiandone altri. Un altro aspetto importante è che la Corte di Giustizia Europea, un organo sovrannazionale, non avrà più giurisdizione sulle dispute legali ed economiche tra il Regno Unito e i paesi membri dell’UE, dispute che saranno risolte con meccanismi di arbitraggio.
Apparentemente, i pescatori britannici non hanno ottenuto quanto volevano, e cioè una riduzione dell’80% del pescato europeo in acque britanniche. Ci sarà un taglio del 25% nel corso di cinque anni e mezzo, che essi non considerano soddisfacente. Tuttavia, tra cinque anni l’accordo sarà rinegoziato e Londra potrebbe ottenere di più, oppure, ancor prima, introdurre dazi a cui però l’UE risponderebbe con contro-dazi su altre merci. Per quanto riguarda il settore finanziario, esso è rimasto fuori del negoziato dall’inizio, in un tacito accordo che riflette il potere dei mercati finanziari su entrambi i sistemi di “governance”, a Londra e Bruxelles. Infine, l’accordo sembra offrire al Regno Unito delle eventuali scappatoie dalla politica “climatica” radicale.
Infatti, anche se esso contiene disposizioni per mantenere gli stessi livelli di “protezione ambientale” dell’UE tra i criteri per evitare la concorrenza sleale, la determinazione degli stessi deve essere basata su “prove affidabili” e non semplici “congetture o possibilità remote”. E le eventuali “misure di correzione”, prima di essere introdotte, verrebbero rimesse da una delle due parti ad un tribunale di arbitraggio, rendendone difficile l’applicazione. Questo non significa che il governo britannico cesserà di sostenere politiche climatiche imperialistiche e che comincerà ad agire come il governo di uno stato nazionale dedito a difendere il bene comune.
Per far ciò, dovrebbe sfidare il potere della City di Londra, la principale potenza dietro lo schema di “Grande Reset” promosso dalle banche centrali e avvolto nell’ideologia dell'”emergenza climatica” made in Britain. Proprio la Gran Bretagna ospiterà il COP26, il vertice sul clima previsto nel novembre 2021. Dal 25 al 29 gennaio si terrà la prima manifestazione virtuale dell’anno sul tema, intitolata “L’agenda di Davos”. Non si tratta del vertice annuale di Davos, che quest’anno si terrà a maggio a Singapore, dove le autorità hanno gestito la pandemia meglio che in Europa.
SPECIALE NATALE 2022
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