_Sandro Delmastro delle Vedove
_Claudia Pieri
Il 9 novembre è stato firmato un accordo per il cessate il fuoco dal Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, dal Primo Ministro della Repubblica d’Armenia Nikol Pashinyan e dal Presidente russo Vladimir Putin. L’accordo, negoziato da quest’ultimo, mira ad evitare che le ostilità si estendano alla parte russa del Caucaso settentrionale, evitando al contempo un conflitto tra Mosca ed Ankara. La Turchia, che ha alimentato la crisi intorno al Nagorno-Karabakh, è membro della NATO. Il cessate il fuoco che pose fine ai combattimenti degli anni Novanta ha lasciato non solo il Nagorno-Karabakh nelle mani degli Armeni, ma anche il vasto territorio che si trovava tra la regione e l’Armenia, costringendo la popolazione azera a fuggire.
Il nuovo accordo restituisce quella vasta area, al di fuori del Nagorno Karabakh, alla sovranità dell’Azerbaigian e prevede il ritorno di tutti i profughi. Il Karabakh stesso rimarrà al di fuori del controllo diretto dell’Azerbaigian fino a quando non verrà siglato l’accordo di pace definitivo. Nel frattempo, la Russia invierà un contingente di duemila militari che pattuglieranno i confini del Karabakh, così come un corridoio di transito che lo collegherà all’Armenia, e un altro che collega l’Azerbaigian alla sua exclave occidentale di Naxcivan, attraversando l’Armenia. I principali parametri dell’accordo sono sul tavolo da due decenni, ma solo ora, dopo i pesanti combattimenti delle ultime settimane, entrambe le parti si sono dette pronte ad accettarli.
Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha dichiarato che l’accordo prevede una situazione di “reciproco vantaggio (win win)”, indicando i benefici economici che deriveranno dall’apertura dei corridoi di trasporto, soprattutto ferroviari, e degli scambi che sono stati bloccati a causa dell’interruzione dei collegamenti commerciali e di trasporto da parte di Azerbaigian e Turchia. L’Armenia potrà inoltre accedere al corridoio nord-sud che va da San Pietroburgo in Russia, fino a Mumbai in India, che passerebbe attraverso l’Azerbaigian e l’Iran. La Turchia, come abbiamo riferito, ha appoggiato militarmente l’Azerbaigian nel conflitto, e vi ha inviato mercenari reclutati dalle milizie radicali in Siria. Questo, a sua volta, è stato visto dalla Russia come una minaccia per i suoi confini meridionali, come Mosca ha chiarito ad Ankara.
Il Presidente Putin ha assicurato che la Turchia non ha svolto alcun ruolo nei negoziati, né parteciperà alla missione di pace. Il governo turco ha fatto affermazioni contrarie, che sono state smentite sia dal Cremlino che dal Ministero degli Esteri russo. Anche se sarà creato un centro di monitoraggio congiunto russo-turco, questo non avrà alcun ruolo nell’operazione di peace-keeping. È indicativo che l’11 novembre il capo dell’MI6 britannico Richard Moore si sia recato ad Ankara per incontrare Ibrahim Kalin, il consigliere per la sicurezza e portavoce del presidente Erdogan, per discutere dell’accordo sul Nagorno Karabakh e del fallimento della loro avventura comune nel Caucaso. Va ricordato che il ministro della Difesa britannico Ben Wallace si era recato ad Ankara il 6 ottobre, a pochi giorni dall’inizio delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian.
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