Non solo il governo ci ha imposto il lockdown basandosi su dati vecchi di dieci giorni che non fotografano il reale quadro epidemiologico del Piemonte, ma non ha neppure considerato le differenze, anche profondissime, tra i nostri territori. Dopo il caso del Vco, i consiglieri del gruppo Lega Salvini Piemonte tornano a denunciare l’ingiustizia di una chiusura totale per tutta la regione, rilanciando anche le preoccupazioni espresse dall’Uncem: per diffusione del contagio e servizi alla cittadinanza, non si può equiparare una grande città a un piccolo Comune, così come non ha senso accumunare tutto il Piemonte a un unico indice Rt senza tenere conto della circolazione del virus e dei diversi tassi di occupazione ospedaliera. Non un dualismo tra campanile e metropoli, ma una sacrosanta richiesta di autonomia che Roma ha nuovamente calpestato con i suoi no.
“Il Dpcm attivo da oggi vieta lo spostamento tra Comuni e Province della stessa Regione – commenta Andrea Cane, responsabile Enti Locali della Lega Salvini Piemonte -. Torniamo a ribadire, così come avevamo fatto per il primo lockdown rimanendo però inascoltati, che assimilare una città come Torino o Cuneo a un comune come Ingria, per fare l’esempio che conosco meglio, è assurdo. Molti comuni del Piemonte vivono di una rete di servizi e negozi diffusa sul territorio, a cui dovremmo oggi accedere solo con l’autocertificazione. Nel pieno rispetto delle misure anti-contagio, noi chiediamo di riconoscere aree di fruizione di servizi di base molto più ampia di quella ad oggi inserita del decreto, che ancora una volta dimostra la visione di una Italia centripeta di un governo che non conosce i suoi territori”.
“Il governo ha stabilito che il Piemonte debba essere zona rossa perché presenta un elevato indice Rt. In realtà – spiega il consigliere valsusino della Lega Valter Marin -, sono solo alcuni Comuni o determinate aree a presentare numeri preoccupanti. Dato che il nostro territorio regionale è estremamente variegato, non ci sembra corretto imporre le stesse misure di contenimento a tutti i suoi 1.181 Comuni. Molto meglio sarebbe chiudere solo paesi e città che sforano i parametri presi in esame dal Comitato tecnico scientifico e lasciar vivere e lavorare liberamente tutti gli altri. Dopotutto, una comunità con un Rt basso ha già dimostrato di essere virtuosa e andrebbe premiata, non punita con la chiusura di buona parte delle sue attività”.
“Nel Biellese – continua Michele Mosca, consigliere segretario dell’ufficio di presidenza – quasi il 50% dei municipi conta meno di mille abitanti. Questi piccoli comuni non hanno all’interno del proprio territorio tutti i servizi necessari per affrontare una chiusura forzata. Senza dimenticare che anche i dati dei contagi su base scientifica danno ragione all’apertura differenziata tra zone in cui i numeri sono, fortunatamente, ancora sotto controllo: non è certo campanilismo, ma la difesa dei centri più piccoli passa anche da accortezze che, per chi invece decide se il giorno dopo si lavorerà o no, sono evidentemente sconosciute. Quando la Lega parla di autonomia alle Regioni è perché vuole superare proprio questo tipo di carenze: livelli decisionali completamente avulsi dalla realtà territoriale. Se il Governo pensa di avviare un processo centralista, usando l’emergenza sanitaria, fa emergere sin da questi primi embrionali tentativi la pochezza dell’approccio”.
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